Al vaticanista Francesco Grana il Riconoscimento Giovanni Paolo II

di Grazia Pia Attolini

Vaticanista de ilfattoquotidiano.it, autore di vari libri incentrati sul magistero e l’attività del Papa e della Santa Sede, Francesco Grana riceverà a maggio il Riconoscimento Giovanni Poalo II- città di Bisceglie.
Ha intrapreso la carriera di giornalista per vera vocazione laica, ispirato da quel principio di ricerca della verità testimoniato da Giovanni Poalo II: «Ho sempre voluto fare il giornalista, fin da piccolissimo, e sono stato folgorato dal “ciclone Wojtyla”: come credente e giornalista molto è rimasto scolpito nel mio cuore di Papa Giovanni Paolo II» – ci racconta.
In anteprima all’evento, Grana si presenta ai biscegliesi. Della sua esperienza professionale al rapporto dei media e della stampa con Papa Wojtyla passando anche per Bergoglio e Francesco: ecco come il giornalista insignito del Riconoscimento ha risposto alle nostre domande.

Come ha accolto la notizia del Riconoscimento?
«Devo essere sincero: con grande stupore e  anche con grande imbarazzo, vedendo il calibro dei premiati delle scorse edizioni e di quest’anno.
Dedico questo riconoscimento a due persone che oggi non ci sono più e che sono state per me fondamentali, da un punto di vista umano e spirituale : il Cardinale Michele Giordano, padre specialissimo che mi ha presentato a Benedetto XXVI come un figlio, e il mio parroco, don Renato. Entrambi mi hanno testimoniato con la loro vita (e non con le parole, come stigmatizza oggi Bergoglio) che esiste una chiesa limpida, autentica e fedele alla chiesa di Gesù, una chiesa dove non dominano pedofilia e gli scandali dello IOR (che certo esistono e noi giornalisti cerchiamo di fare da cassa di risonanza al lavoro di contrasto che sta facendo Papa Francesco affinché la Chiesa oggi sia credibile); mi hanno insomma insegnato che esiste anche un’altra chiesa fedele al Vangelo e certamente non rappresenta una minoranza ».

Hai avuto modo di conoscere Giovanni Paolo II?
« Non l’ho mai incontrato personalmente. Non faccio parte di quella parte della mia generazione che ha partecipato alla GMG o altri raduni alla presenza di Giovanni Paolo II. Non sono un “papa boy” che poi si converte in giornalista. Vengo sì affascinato, come tanti altri giovani, dalla sua figura, ma subito nel nome della scrittura. Ho sempre voluto fare il giornalista, fin da piccolissimo, quando poi sono stato folgorato dal “ciclone Wojtyla” è stato lui a ispirarmi verso il sentiero della ricerca della verità: è stata una vera e propria vocazione laica».

Parlaci di “Aprite le porte a Cristo”: è la prima della 10 pubblicazioni da te partorite…
« È tra i miei libri più importanti. Contiene un’intervista esclusiva a Mons. Slawomir Oder, postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo II. Approfondire questa figura straordinaria di cui si conosceva ancora poco, è stato per me un grande onore e una scoperta continua. Nel libro emerge quell’ uomo annunciatore, eletto a soli 58 anni, che veniva da un’esperienza drammatica (il nazismo prima e il comunismo poi) di “un paese lontano” che si fa poi testimone della più alta, più difficile e più bella esperienza dell’uomo, ossia la sofferenza, annunciando anche così il suo messaggio di pace».

Cosa ti è rimasto maggiormente scolpito nel cuore della figura di Giovanni Paolo II?
«Credo che tutti abbiamo nel cuore la grande veglia di Tor Vergata per la XX Giornata Mondiale della Gioventù. Quella notte di Roma del 19 agosto 2000 quando San Giovanni Paolo II, già abbastanza provato dalla malattia, dialogò con i due milioni di giovani provenienti da ogni parte del mondo. E poi rimane scolpito nel mio cuore l’invito che rivolse alla cosiddetta “generazione Wojtyla” il giorno dopo, facendo sue le parole di Santa Caterina da Siena: “Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!”, un invito a combattere con le armi della pace, a vivere senza paura in un mondo in cui siamo circondati dal terrore. “Mettere fuoco”, ovviamente in senso evangelico, nella mia professione di giornalista non vuol dire creare guerre o appiccare incendi, ma cercare la verità e offrirla al lettore, vuol dire vivere con il patrimonio della speranza e della gioia cristiana che noi giovani possiamo offrire in modo convinto a chi ci è accanto».

Veniamo quindi alla tua professione. Comunicazione e giornalismo: quale il rapporto di Papa Giovanni Paolo II con i media?
«Da un punto di vista giornalistico Wojtyla è il primo Papa che affronta la stampa senza mai negarsi, perfino istituendo la prassi delle conversazioni ad alta quota. È stato il precursore del dialogo diretto e lo ha mostrato anche dedicando, in fin di vita, una lettera apostolica ai mezzi di comunicazione sociale. È certamente un Papa dei media, ma che non amava il palcoscenico: era ben cosciente che sull’altare si celebra messa e non si fa uno show. È l’esempio del dialogo sincero e leale: un esempio che ha dato non solo a noi cronisti, ma soprattutto a tanti vescovi e cardinali che hanno paura dei giornalisti tratteggiati come fumo di Satana».

Quali le differenze rispetto a Papa Benedetto XVI e poi Francesco nel rapporto con i giornalisti?
«I giornalisti fanno sempre dei guai, quindi pensare che possa esistere un’amicizia tra il Papa e i giornalisti è una grande utopia. Lo vediamo tutt’ora con Papa Francesco che parla del pugno che ci si deve aspettare se si parla male della mamma o quando dice che i cristiani non devono fare figli come conigli: si apre un caso che dura giorni e giorni sui giornali.

Wojtyla aveva una grane ironia e anche con i giornalisti riusciva a dominare bene le loro curiosità, dal cerottino che aveva sulla testa perché era caduto facendosi male, al braccio che teneva fasciato perché era scivolato in bagno, fino alla famosa battuta “avete un Papa deficiente ma non del tutto decaduto!”: riusciva con una battuta a deviare molte cose.

Benedetto XXVI invece aveva un rapporto diverso: voleva prima visionare le domande soprattutto per le interviste video, tuttavia anche qui abbiamo visto he non si può dominare in assoluto l’incontro tra Papa e giornalisti. Lo domostra l’esempio del viaggio in Africa, occasione in cui gli scappa l’affermazione sui preservativi: in men che non si dica fa il giro del mondo e occulta completamente tutti i discorsi di quel viaggio in Kamerun e Angola.

Arriviamo a Francesco che dopo l’elezione si è presentato ammenttendo di non riuscire a fare interviste e invece poi improvvisamente si è dimostrato un grande “chiacchierone”: questa è la sua grande forza. Riesce ad alimentare la cronaca e allo stesso tempo a smentire. È un’arma davvero importante per combattere i contrasti in seno alla curia romana. Un piccolo esempio è offerto dall’episodio in cui ha congedato il comandante delle guardie svizzere: si era scritto molto su questo comandante cattivo che imponeva un duro esercizio del potere delle sue guardie, ed ecco che il Papa in una intervista ha subito smentito. Certamente usa questa sua forza anche per riportare un po’ di verità e calma su certe notizie che si gonfiano in maniera esponenziale, anche a fronte di tutti quei detrattori che sono in Vaticano (spesso gli stessi vescovi e cardinali) che vogliono far passare certi messaggi che possono nuocere al Papa: vengono subito smentiti da lui in persona che è la voce più autorevole in materia».

Grazia Pia Attolini

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