“Ci vediamo a Bisceglie il 2 aprile!” L’ Intervista a Ettore Bassi

Il 2 Aprile 2014 A Bisceglie incontrerà gli studenti

All’attore Ettore Bassi il Riconoscimento Giovanni Paolo II

Il “bel commissario” si racconta in una intervista concessa all’associazione Giovanni Paolo II di Bisceglie

Difficile identificarlo come un pugliese, forse per il carattere schivo e l’assoluta assenza di connotazioni regionali di tutti i personaggi che ha interpretato in una lunga carriera. Oppure per gli occhi profondi e il sorriso aperto, che fanno uomo del nord. Eppure l’attore e conduttore televisivo Ettore Bassi, tra i “testimoni” della terza edizione del “Riconoscimento Giovanni Paolo II”(riceverà il premio in anteprima il prossimo 2 aprile) è nato 43 anni fa in quel di Bari. Poi la passione, la grinta, la voglia di rincorrere il futuro e “fare magie” per il pubblico (da piccolo sognava di fare il prestigiatore e per alcuni anni ha incarnato ottimamente il ruolo), lo hanno portato altrove, a marcare stretto i suoi sogni fino a Cinecittà. La Fabbrica dei Sogni, per l’appunto. Come per tanti attori dotati di talento e caparbia, il concorso “Il più bello d’Italia” del ’92, ha segnato per Ettore Bassi solo uno dei tanti possibili trampolini televisivi. Un varco, insomma, al mondo dello spettacolo italiano, che poi ha scelto di consacrarlo come “giusto”. Ed è in questo ruolo che il Bisceglie vuole ricordarlo. Conduttore di trasmissioni televisive dedicate all’infanzia prima, commissario, carabiniere e San Francesco poi, ha nel suo modo di essere qualcosa di rassicurante che lo rende adatto a ruoli delicati di equilibrio e mediazione.

La notizia del riconoscimento da parte del presidente della GP II Natalino Monopoli, non piove per il “bel Maresciallo” troppo inaspettata, dal momento che da quasi vent’anni, qualcosa di indefinibilmente percettibile lo lega al Beato e prossimo Santo.
«E’ dal 1997 – ci racconta – da quando ho avuto un primo incontro con Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro, che la sua figura si è legata alla mia. Quando fui chiamato a presentare la Giornata Mondiale della Gioventù del 2000, capivo di essere entrato nella storia. Di fronte a quel mite e luminoso signore mi si bloccò il pensiero. Ora mi viene da dirgli: grazie”. Poi è arrivata la grande emozione di girare un film tv sulla sua gioventù a pochi giorni dalla sua morte. C’è qualcosa che mi collega a Papa Wojtyla e questo riconoscimento ne è una ulteriore dimostrazione che mi colpisce».

Cosa ricordi della Giornata Mondiale della Gioventù con GPII e perché vorresti dire “Grazie” a Giovanni Paolo II?
«Ho un ricordo enorme, che per lo stesso motivo è anche limitatissimo. Quando vivi qualcosa di talmente intenso da stravolgerti, è difficile rimanere lucido.
Il mio “Grazie” è una riconoscenza allargata, a quel momento di abbraccio infinito ai giovani, al suo Pontificato e ai messaggi di cui in piccolo mi sono fatto portavoce. Ne sono onorato, perché è stato un grande comunicatore per tutti i cristiani. Grazie perché è capace di far sentire la sua energia, di essere presente e vicino a tutti, ancora oggi che non è più fisicamente tra noi».

Quello sulla vita di GPII non era il tuo primo film a sfondo religioso. Che differenza c’è tra l’interpretare San Francesco e il commissario Rex?
« La differenza la fa il personaggio. È chiaro che un personaggio che racconta una spiritualità particolare ha un livello di interpretazione molto più complesso. Il film su Giovanni Paolo II mi ha lasciato grandi emozioni, oltre ad arricchirmi umanamente. Su tutto, mi ha colpito il rapporto di Karol con il suo medico, amico di gioventù, la sincerità dei loro scambi di vedute nel momento delicato che ha preceduto la dipartita».

Il tuo rapporto personale con la Fede qual è?
«Tento di trovare nella mia interiorità, con la maggiore coerenza possibile alle mie inclinazioni, il modo di interpretare il mondo. È un rapporto di ricerca, di apertura spirituale, inteso come una consapevolezza che esiste qualcosa di troppo grande per poterla interpretare. Per cui non cerco di capirla, né tantomeno ne seguo pedissequamente i canoni. Sono più per il principio generale che per la pratica».

Di Papa Francesco, invece, cosa pensi. Ti sembra un personaggio costruito?
«Papa Francesco è un vero rivoluzionario non di certo un personaggio costruito. Sta prendendo in contropiede la parte più conservatrice della Chiesa, caricandosi di un lavoro immenso e difficilissimo».

GPII era amante del teatro così come lo sei tu e questo vi lega. Credi che il teatro possa essere un mezzo di evangelizzazione, di insegnamento o comunque di trasmissione dei valori?
«Nel teatro si coltivano le anime e si può fare evangelizzazione ed educazione, crescita e trasformazione. È un luogo prezioso e potente, e come tale va rispettato e temuto. E’ un posto sacro per la sua funzione, da utilizzare pertanto con consapevolezza ed attenzione».

Non per altro anche i riti di tutte le religioni sono molto scenici…
«Per l’appunto. Hanno bisogno, per perpetrarsi, di manifestazioni teatrali, intese come rappresentazione scenica e formale dei concetti»

Per te, invece, cosa rappresenta il teatro?
«Un luogo pubblico da cui attingere principi, in cui cercare un personaggio e rimanerci fino a che non finisce lo spettacolo. Questo in televisione o nel cinema non può accadere. Il teatro è lo spazio attoriale in cui sperimentare, percepire la vicinanza con il pubblico e orientarne la risposta. Il luogo eccellente in celebrare la potenza dell’espressività e della creatività». Il tema della legalità sarà al centro dell’incontro degli studenti e del concorso GPII del 2014. Con questo tema ti sei divertito prima con “Carabinieri” e poi con la serie “Rex”, sebbene si tratti di finzione, hai sperimentato sul set tutto la costruzione e ricostruzione del mondo della giustizia. Che cosa ti ha insegnato su questa tematica il cinema e cosa racconterai ai ragazzi? «Mi ha insegnato a rispettare gli uomini che difendono la giustizia, perché da vicino capisci meglio come vivono determinate situazioni. La differenza nell’azione la fa poi il carattere, l’impegno e la passione del singolo carabiniere. Dietro quell’uniforme c’è chi mette in gioco la propria vita e quella familiare. In un momento in cui il pesce è marcio dalla testa, rispettare le regole diventa ancor più una questione di moralità personale. E’ un lavoro duro, delegato sempre più alla famiglia, lasciata sola. E’ questo, ciò che cercherò di spiegare ai ragazzi».

Ci lasci qualche chicca sul tuo lavoro futuro?
«Sto aspettando l’uscita di un lavoro ultimato quest’estate: una commedia sulla scuola con Luciana Littizzetto. Poi un film tv sui martiri di Fiesole, 4 carabinieri che nel’ 44 si consegnarono ai tedeschi per salvare dei civili e che furono messi al muro nel giorno della liberazione di Firenze. Io sono uno dei 4 carabinieri. Il film sarà presentato durante le celebrazioni del centenario dell’Arma, che cadrà quest’anno».

Ricevere un riconoscimento dalla tua terra di origine, è per te un valore aggiunto?
«Sicuramente si. Per qualche motivo l’ambiente di spettacolo fa fatica a collocarmi in Puglia. Se devono pensare ad un attore pugliese non pensano a me. Forse perché avendo frequentato il liceo a Torino parlo l’italiano con un accento poco meridionale. Eppure, io non vedo l’ora di girare un film al Sud. È un traguardo che intendo raggiungere».

Serena Ferrara

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