Intervista, Bellaspiga: “Perseguiamo la solidità della verità come ci ha insegnato Papa Wojtyla”

di Grazia Pia Attolini

Per il suo impegno quale inviata del quotidiano “Avvenire”, sempre in prima linea in servizi ed inchieste ad ampio raggio; per i suoi articoli e libri dedicati a tragici episodi, nei quali indica sempre la strada dell’amore e del perdono come unica alternativa all’odio e alla violenza, sarà attribuito alla giornalista e scrittrice Lucia Bellaspiga il Riconoscimento Giovanni Paolo II.
In attesa di ascoltare la sua testimonianza il 13 maggio a Bisceglie, ecco come Bellaspiga si racconta.

Come ha accolto la notizia del Riconoscimento?
Quando mi è stata comunicata la notizia hanno prevalso la gioia e anche la sorpresa, non solo perché si tratta di un premio legato alla figura del Santo Padre a cui tutti siamo legati, ma anche perché è un evento culturale di grande spessore. Sarà mio onore poter essere a Bisceglie e portare la mia umile testimonianza.

Che ricordi la legano a Papa Wojtyla?
Quando ero studentessa presso l’Università Cattolica ho avuto modo di assistere alle sue visite in più di una occasione. Poi da giornalista ho avuto modo di viverlo di riflesso tramite le persone di cui ho scritto: penso in particolare a quell’abbraccio commosso tra Giovanni Paolo II e la giovanissima vedova del brigadiere dei Carabinieri Giuseppe Coletta, scomparso nella strage di Nasiriyah. Da Giovanni Paolo II ho assorbito soprattutto la grazia dello spirito nei momenti di dolore.

Giovanni Paolo II ha rivoluzionato il modo di raccontare il pontificato, ha instaurato un nuovo rapporto con gli operatori della comunicazione convinto che il giornalismo possa essere uno strumento di evangelizzazione. Qual è l’eredità di Papa Wojtyla nel suo personale approccio alla professione giornalistica?

Giovanni Paolo II aveva una capacità comunicativa quasi teatrale, d’altronde Wojtyla aveva fatto teatro ai tempi dell’oratorio e credeva molto nella sua potenza evangelica. Pensiamo alle folle oceaniche che lo accoglievano ovunque andasse: non si era mai visto prima con un Santo Padre; oppure pensiamo al suo modo di approcciarsi ai giovani: Papa Giovanni Paolo II ha rivoluzionato non solo il modo di raccontare il pontificato, ma anche di comunicare al suo gregge. Inseguito Ratzinger ha dato il suo apporto da teologo e oggi Francesco ci ha abituato al linguaggio quotidiano inaugurato con quel suo saluto “Fratelli e sorelle buonasera”.
Ebbene, credo che negli ultimi decenni anche noi operatori dell’informazione abbiamo imparato molto dal modo di comunicare dei Papi. In particolare, a mio parere il più grande insegnamento di Papa Wojtyla in questo ambito è il concetto della solidità della verità che deve sempre muovere i nostri racconti. Noi giornalisti dobbiamo imparare a raccontare la verità, sempre!
A me piace molto il giornalismo scarno, ma non povero. Scarno ad esempio nel raccontare temi, come quello dell’utero in affitto, che vengono spesso edulcorati come fossero grandi storie d’amore e con una superficialità che personalmente spaventa. Si tratta di drammi e purtroppo quasi mai vengono raccontati così. La scrittura scarna ma non povera è quella che fa trasparire la verità e consente ai lettori di farsi un’opinione non slegata alla realtà. Noi giornalisti, infatti, abbiamo una grande responsabilità nei confronti dell’opinione pubblica e dobbiamo assolvere al nostro compito di informare correttamente i cittadini, senza alimentare difetti di comunicazione o false verità. Tale responsabilità non si esaurisce nel presente: quello che oggi non abbiamo il coraggio di raccontare sarà oggetto di critica nel futuro e ci verrà rimproverato “perché nessuno ne scriveva all’epoca?”.
La vicenda di Eluana Englaro, ad esempio, ricordo bene quanto abbia colpito l’opinione pubblica, orientandola sul tema legato alla questione di fine vita. Ricordo che dopo gli incontri con i genitori, non riuscivo a trovare le parole per raccontare quel dramma, di cui invece molti colleghi e certa TV hanno parlato con tanta superficialità al punto da non far indignare più lettori e spettatori. Proprio per questo, noi giornalisti possiamo fare la differenza: ritengo che la missione del giornalismo sia tenere la barra del timone impiantata sui valori, altrimenti noi stessi diventiamo complici della disinformazione e del divampare delle false verità.

Come declina la sua missione di giornalista all’interno di Avvenire, per cui scrive dal 2001?
Avvenire tiene tantissimo a non far grondare di sangue i racconti delle sue pagine. Avvenire dà la possibilità di raccontare la società positiva, quella fatta di eroi quotidiani che con grande abnegazione compiono il loro dovere: medici, volontari, insegnanti…di cui abbiamo il dovere di raccontare. Avvenire permette a me e a tutti i miei colleghi di dare luce con la nostra penna a quel mondo ormai celato dalla maggior parte dei media, e ai lettori di poterlo conoscere.

Tema del concorso studentesco legato al VI Riconoscimento è “Giovani prendete in mano la vostra vita dire no alla violenza droga alcol”. Qual è il suo ‘sí alla vita’?
Il mio sì alla vita passa attraverso l’umiltà: credo che tutti debbano essere umili perché solo così è possibile essere aperti alle meraviglie del mondo. Tutti i problemi, infatti, derivano dall’insoddisfazione, come spesso ci ricorda Papa Francesco. E’ necessario, dunque, ridimensionarci. Abbiamo dei giovani che per essere normali sentono il bisogno di sballarsi. Invece no: questo non è essere normali. Torniamo invece a godere della grandezza del mondo: una passeggiata in montagna, un concerto di musica classica, una visita alle città d’arte della nostra bellissima Italia, patria della lirica e delle belle arti. Io sono stata presso il Teatro La Scala per la prima volta a 5 anni e oggi quando consiglio alle mie amiche di portare i loro figli a fargli sentire Verdi, mi guardano esterrefatte.
Non ci destabilizza più invece sentire che un ragazzino fuma spinelli. E quando il signor Cappato ricorda all’opinione pubblica che le droghe fanno bene, è una sconfitta di tutti. Viviamo nel tempo della deriva educativa e noi genitori, noi giornalisti e operatori dell’informazione abbiamo una grande responsabilità. Diciamo quindi dì alla vita, annunciando la verità ai ragazzi nella bellezza.

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