Intervisita | Riconoscimento all’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme

(di Grazia Pia Attolini)

Nell’anno in cui il tema del Riconoscimento è la tutela e la difesa del creato, l’associazione promotrice del premio che dà merito a uomini e donne del mondo laico ed ecclesiastico distintisi nel nome e nel ricordo di San Giovanni Paolo II, attribuisce il Riconoscimento all’ Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Tutela dei luoghi della Terra Santa attraverso il sostegno delle fasce più bisognose con una costante azione di carità e spiritualità: è questo il merito che si attribuisce all’Ordine.
A spiegarci meglio le finalità dell’Ordine e offrirci un ricordo della figura di Papa Wojtyla è il Cav. di Gran Croce dott. Rocco Saltino, Luogotenente dell’Italia Meridionale Adriatica dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

Come l’Ordine ha accolto la notizia del Riconoscimento?
Tutti i Membri dell’Ordine sono particolarmente grati all’Associazione Giovanni Paolo II, per l’alto riconoscimento. Una notizia che sconvolge ma che gratifica la quotidiana e silenziosa attività dei Cavalieri e delle Dame impegnati negli aiuti per le opere del Patriarcato Latino di Gerusalemme.

Cosa significa essere membri all’Ordine?
L’appartenenza all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro può essere considerata una gloria ed un vanto.
Fatta questa premessa, c’è da chiedersi se abbia ancora un senso all’Alba del terzo millennio la sopravvivenza di un Sodalizio cavalleresco che si richiama ai tempi delle Crociate.
L’uomo contemporaneo, che vive nella cosiddetta “civiltà dell’immagine” tende talvolta a percepire gli aspetti esteriori e superficiali della realtà, senza coglierne il significato profondo. Ne consegue che, paradossalmente, di fronte agli Ordini equestri di antica tradizione, si assiste oggi ad atteggiamenti e giudizi contrastanti, se non addirittura opposti. Alcuni – cogliendone solo l’esteriorità – ritengono che tali istituzioni siano anacronistici retaggi del passato, privi di utilità nel mondo attuale, se non come pittoresche espressioni di vano folclore. Altri – fermandosi ugualmente all’apparenza – ne rimangono attratti ed affascinati, in quanto vi ravvisano un potente mezzo per aumentare il proprio prestigio sociale; ciò spiega la straordinaria proliferazione di “Ordini fasulli” che propongono – previa elargizione di cospicue somme si denaro – il conferimento di titoli cavallereschi dal valore alquanto discutibile.
Oggi dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme: a molti sfugge la sua profonda dignità morale, come pure la missione perseguita ed i valori che vi sono sottesi.

Quali le finalità e le iniziative dell’Ordine e come esse si rinnovano e si declinano al giorno d’oggi, dopo secoli di attività?
L’Ordine ha per scopo:
– di rafforzare nei suoi membri la pratica della vita cristiana, in assoluta fedeltà al Sommo Pontefice e secondo gli insegnamenti della Chiesa, osservando come base i principi della carità dei quali l’Ordine è un mezzo fondamentale per gli aiuti alla Terra Santa.
– Sostenere ed aiutare le opere e le istituzioni culturali, caritative e sociali della Chiesa Cattolica in Terra Santa, particolarmente quelle del Patriarcato Latino di Gerusalemme, con il quale l’Ordine mantiene legami tradizionali.
– Zelare la conservazione e la propagazione della fede in quelle terre, interessandovi i cattolici sparsi in tutto il mondo, uniti nella carità dal simbolo dell’Ordine, nonché tutti i fratelli cristiani.
– Sostenere i diritti della Chiesa Cattolica in Terra Santa.
L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme è l’unica Istituzione laicale dello Stato Vaticano a cui è affidato il compito di sopperire alle necessità del Patriarcato Latino di Gerusalemme e di tutte le attività ed iniziative a sostegno della presenza cristiana in Terra Santa. Le oblazioni dei suoi membri rappresentano dunque la principale fonte contributiva istituzionale del Patriarcato.

Dal 2009 Lei è il Luogotenente dell’Italia Meridionale Adriatica dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Cosa comporta questo compito di così grande responsabilità?
Grazie alla benevolenza del Cardinale Gran Maestro, dal 16 novembre 2009, sono stato nominato Luogotenente per l’Italia Meridionale Adriatica dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Grande responsabilità ma soprattutto ho avuto la possibilità di conoscere di più e meglio i molteplici interventi che l’Ordine fa in Terra Santa.

Un ricordo di Giovanni Paolo II
Primo, il valore della vita umana di San Giovanni Paolo II.
Si sottolineerà l’impegno espresso da Papa Wojtyla in favore della promozione e della difesa della vita umana, come Vescovo e dopo come Sommo Pontefice attraverso il Magistero e più in generale nell’insegnamento.
Secondo i malati, sofferenti fra i sofferenti, cioè a Giovanni Paolo II; dunque al suo personale percorso di sofferenza fisica ma anche all’attenzione particolare rivolta alle persone colpite dalle tribolazioni nonché alle iniziative attuate in favore del mondo della salute, della sofferenza culminate nella fondazione di ciò che oggi è Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, la giornata mondiale del malato.
Terzo la grandezza del Pontificato, Papa grande nella vita, grande nella morte, grande dopo la morte perché undici anni dopo la morte è già Santo, una precedenza assoluta nella storia della Chiesa.

– Primo il valore della vita umana e San Giovanni Paolo II
Tutto il suo Pontificato è stato essenzialmente connesso all’annunzio e alla difesa della Fede, della morale cristiana e della vita umana. Questo costituiva il nucleo del suo invito alla nuova Evangelizzazione che nel metodo e nella forma doveva essere nuova ma sempre fedele alla tradizione apostolica e dei concili.
Lui ha partecipato al concilio come Padre Conciliare e dopo voleva, nel suo lungo pontificato, realizzare le idee del Concilio Vaticano II. Sappiamo che Lui era quasi coautore o autore del grande documento del Concilio Vaticano II, “Gaudium et Spes” che parla già della sofferenza umana. Prendendo spunto dal concilio vaticano secondo cui con l’incarnazione il figlio di Dio si è unito in un certo modo a ogni uomo. Giovanni Paolo II riafferma l’uomo come la prima e fondamentale via della Chiesa per il Papa e per la Chiesa da cui scaturisce la difesa di ogni vita umana, particolarmente quella più debole che viene rappresentata dai bambini, dai malati, dagli handicappati, dagli anziani, dai profughi e dai rifugiati, dagli emarginati.
Tramite la comunicazione del catechismo e della chiesa cattolica, nel 1992 egli voleva riaffermare le verità della fede e della morale cristiana in un nuovo contesto storico-culturale e sociale.
Alla promozione e alla difesa della morale cristiana e della vita umana, il Papa ha dedicato due encicliche: “Veritatis Splendor”, 6 agosto 1993 e “Evangelium Vitae”, 25 marzo 1995.
In esse il Papa propone un visto come Maestro e modello della morale cristiana, che si fonda sulla legge naturale e rinnova la condanna dell’ uccisione diretta e volontaria di innocenti, dell’aborto, rifiuta l’eutanasia, mobilita le coscienze a proporsi alla congiura contro la vita come abbiamo sentito la cultura della vita, contro la cultura della morte, il rispetto della vita umana viene fortemente riaffermato nell’enciclica “Evangelium Vitae”, dove il Papa scrive, nel numero due dell’Enciclica: “la vita umana è sacra e inviolabile, in quel momento della sua esistenza, dal suo concepimento fino al suo esito naturale e per questo”, aggiunge il Papa, “l’essere umano va rispettato e trattato come persona fin dal suo concepimento naturale e pertanto da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona tra i quali innanzitutto il diritto inviolabile di ogni essere innocente alla vita”.
Di conseguenza annunciare il Vangelo della vita significa annunciare la sacralità della vita che si fonda su Gesù Cristo; il Papa era grande difensore della famiglia, di cui abbiamo già sentito e il Papa Francesco durante la canonizzazione di Giovanni Paolo II lo ha descritto come il Papa della famiglia. Giovanni Paolo II era consapevole dell’efficacia del suo pontificato, dipendeva molto dalla sua sofferenza personale unita a quella di Cristo dopo il ritorno dall’ospedale alla fine del mese di maggio 1994, proprio 23 anni fa durante l’Angelus ha così parlato: “Prego perché io vorrei che attraverso Maria sia espressa oggi la mia gratitudine per questo dono della sofferenza nuovamente collegato con il mese mariano di maggio; voglio ringraziare per questo dono”, ha sottolineato il Papa, “ho capito che è un dono necessario”.
Il Papa doveva trovarsi al Policlinico Gemelli, doveva essere assente da quella finestra per quattro settimane, quattro domeniche doveva soffrire come ha dovuto soffrire 15 anni fa così anche quest’anno ricordava il suo attentato.
Vorrei citare anche una frase molto forte di Papa Giovanni Paolo II in difesa dei bambini non nati: “una nazione che uccide i suoi figli non ha futuro”, una dichiarazione del 1996 quando il Parlamento polacco era dominato dagli scambisti che volevano rendere nuovamente gratuito l’aborto; la liberazione fallì con la bocciatura da parte della Corte Costituzionale.

– Secondo
Malato fra i malati sofferente fra i sofferenti, già fin dall’inizio del suo Pontificato, fa le numerose attività pastorali di Giovanni Paolo II, il Papa manifestava una sua particolare sensibilità verso i malati e i sofferenti. Noi sappiamo che lui ha perso la sua mamma avendo solo 9 anni, dopo ha perso suo fratello, che era medico, e si è contagiato, da una delle persone malate: la scarlattina era la causa della malattia e della morte del suo fratello. Improvvisamente, ha perso anche il papà ed è rimasto praticamente solo, libero per la Chiesa, libero per i Papi così voleva la Provvidenza.
Durante la sua visita in Gran Bretagna, nel 1982, invitò tutti all’attenzione specifica verso gli anziani, verso i sofferenti, andava contro l’eutanasia: “non dimenticate gli ammalati e gli anziani, non abbandonate gli handicappati e i malati gravi, non relegatevi ai margini della società perché se lo fate ignorate che essi incarnano una verità importante. I malati, i vecchi, gli handicappati, gli infermi, ci insegnano che la debolezza è una parte creativa della vita umana e che sofferenza può essere accettata senza perdita di dignità”. Finisce il Santo Padre: “Ma la saggezza di Cristo e la potenza di Cristo sono visibili nella debolezza di coloro che partecipano alle sue sofferenze”.
Parlando agli ammalati, il Papa Giovanni Paolo II, si rivolgeva anche a coloro che avevano cura di essere medici, alle infermiere, agli infermieri, ai cappellani ospedalieri, ai volontari, alle persone consacrate di ringraziarli e li esortava a seguire l’esempio del buon Samaritano. Il Papa stesso ha scritto 30 anni fa un documento sulla sofferenza umana, “Salvifici Doloris”; in questo bel documento ha scritto una frase molto bella sul Buon Samaritano: “Far del bene a chi soffre è far del bene della propria sofferenza”; è una implicita dimensione della sofferenza.
Adesso vorrei citare il cardinale Roberto Tucci, stretto collaboratore di Papa Wojtyla, ricorda così gli incontri con i malati e i sofferenti di Giovanni Paolo II, ecco le parole di Cardinale Tucci: “Come non ricordare con commozione la tenerezza di Giovanni Paolo II per i malati, soprattutto se bambini, per i disabili, per gli anziani qualunque fosse il loro numero, voleva salutarli a uno a uno, li accarezzava, cercava di ascoltarli e di confortarli. Diceva loro che contava sulle loro preghiere e sull’offerta delle loro sofferenze.” C’era in questi incontri, un’intensa partecipazione che mostrava quanto vivamente Egli vedesse nei sofferenti il volto stesso di Gesù Cristo. Fin dai primi viaggi” sottolinea il Cardinale, “del Papa mi fece una profonda impressione questo suo atteggiamento, sembrava stare quasi in venerazione di fronte agli uomini infermi. La cosa è diventata per me ancora più coinvolgente quando ho visto il modo in cui il Papa stesso portava in sé i segni della sofferenza”.

– terzo
Nella persona di Giovanni Paolo II, la Chiesa e tutta l’umanità hanno ricevuto un dono particolare di Dio; qui ricordiamo una testimonianza, più che autorevole che ne concentra in sé anche molte altre. Si tratta della valutazione personale di Giovanni Paolo II fatta dal suo successore, Santo Padre Benedetto XVI. Quest’ultimo nel suo discorso alla Curia romana, in occasione dello scambio degli auguri natalizi, il 22 dicembre 2005, qualche mese dopo la morte del Santo Padre, in Vaticano ha detto: “Nessun Papa ci ha lasciato una quantità di testi pari a quella che ci ha lasciato lui, nessun Papa in precedenza ha potuto visitare, come lui, tutto il mondo e parlare in modo diretto agli uomini di tutti i continenti. Ma alla fine dice Papa Benedetto: “Gli è toccato un cammino di sofferenza e di silenzio”. Noi ricordiamo queste cose, queste immagini. Il Santo Padre con le sue parole, e le sue opere ci ha donato cose grandi, ma non meno importante è la lezione che ci ha dato dalla cattedra della sofferenza e del silenzio. Ecco, che bella espressione: la cattedra della sofferenza.
La risposta che si è avuta in tutto il mondo alla morte del Papa è stata una manifestazione sconvolgente di riconoscenza per il fatto che egli nel suo ministero si è offerto totalmente a Dio per il mondo. “Un ringraziamento”, continua Papa Benedetto XVI, “per il fatto che egli in un mondo pieno di odio di violenza ci ha insegnato nuovamente l’amore, e il soffrire a servizio degli altri, ci ha mostrato per così dire, dal vivo, il redentore”. Cioè Papa unito a Cristo ci ha mostrato dal vivo il redentore, la redenzione e ci ha dato la certezza di fatto: il male non ha l’ultima parola nel mondo. Per non essere noioso e lungo, finisco qui chiedendo di ricordare le parole del Santo Padre che ha detto all’inizio del suo Pontificato: “Aprite le porte a Cristo, anzi spalancatele”. Lui ha spalancato il suo cuore verso il Cristo e ci auguriamo che anche noi cristiani, che apparteniamo al Cristo, apriamo il cuore a Cristo e allo Spirito Santo.

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