Omelia di Sua Eminenza Card. Rodé

OMELIA
V domenica di Pasqua anno C – Bisceglie, 19 maggio 2019

S.E. Rev.ma il Signor Cardinale Franc Rodé, CM

Benedirò il tuo nome per sempre, Signore (Sal 144).
Le parole del Salmo responsoriale che abbiamo proclamato salgono spontaneamente alle labbra volgendo lo sguardo a questa assemblea pasquale, carissimi fratelli e sorelle qui convenuti per celebrare insieme – con la preghiera e la gioia sincera – la V domenica di Pasqua, e per ricordare il grande pellegrino della Pace, San Giovanni Paolo II, attraverso il premio a lui dedicato.
Insieme a voi rendo grazie al Signore per il meraviglioso esempio d’amore che ci ha donato attraverso questo Santo Papa, il suo esempio di dedizione instancabile alla Santa Chiesa e a ogni uomo e a ogni donna, il suo offrire tutto se stesso fino all’ultimo respiro.
Rendo grazie al Signore e rivolgo a voi tutti il mio saluto più cordiale. Permettetemi di indirizzare un saluto particolare al Rettore, il Reverendo Canonico Mauro Camero e al prof. Natalino Monopoli, presidente dell’Associazione Giovanni Paolo II di Bisceglie, che hanno voluto invitarmi fra voi per onorarmi con questo premio di testimone e ambasciatore di pace, ma soprattutto per celebrare insieme a voi i Divini Misteri.
Il tema scelto dagli organizzatori per questa VIII edizione del riconoscimento internazionale dedicato a San Giovanni Paolo II è tratto dalla prima Giornata della Pace da lui celebrata quarant’anni fa, il 1° gennaio 1979: “Educare alla pace per giungere alla Pace”. Giovanni Paolo II quell’anno raccoglieva il testimone da San Paolo VI, che aveva dato inizio alle giornate mondiali della pace. Nel messaggio di quell’anno scriveva «Io raccolgo dalle mani del mio venerato predecessore il bastone di pellegrino della pace. Sono anch’io in cammino, al vostro fianco, con in mano il Vangelo della pace: “Beati gli operatori di pace”». Sappiamo tutti come nei quasi 27 anni in cui ha guidato la barca di Pietro San Giovanni Paolo II non abbia mai lasciato quel bastone da pellegrino, percorrendo tutte le strade del mondo, per portare a tutti gli uomini e a tutte le donne Cristo, la Pace vera, fino agli estremi confini della terra.
Insieme agli altri premiati, che saluto, e insieme a ciascuno di voi anche io oggi voglio raccogliere dalle mani del Santo Papa il bastone di pellegrino della Pace, raccogliere l’impegno di essere educatori alla Pace, per portare nel mondo la Pace vera, quella che solo il Risorto ci dona!
La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci chiama alla novità!
Il libro dell’Apocalisse parla di un cielo nuovo e una terra nuova, della Gerusalemme nuova, e il brano si conclude con l’annuncio: Ecco, io faccio nuove tutte le cose.
Gesù, nel Vangelo di Giovanni ci dona il comandamento nuovo. Il Signore lo chiama proprio “nuovo”. In che cosa consiste la novità di queste parole visto che erano già riportate nella legge di Mosè? Nel libro del Levitico Dio aveva dato il comando dell’amore: amerai il prossimo tuo come te stesso (Lv 19,18). Perché è nuovo se da sempre e dovunque uomini e donne amano?
La novità emerge dalle parole successive. Gesù non dice semplicemente amate. Il comandamento è nuovo in quanto Gesù vi apporta un’aggiunta molto importante: Come io ho amato voi, così amatevi gli uni gli altri. Ciò che è nuovo è proprio questo “amare come Gesù ha amato”. La novità cui Gesù ci invita consiste innanzitutto nella misura dell’amore, racchiuso in un avverbio: come.
Lui ci ha amato per primo. «L’Antico Testamento non presentava alcun modello di amore, ma formulava soltanto il precetto di amare. Gesù invece ci ha dato se stesso come modello e come fonte di amore. Si tratta di un amore senza limiti, universale, in grado di trasformare anche tutte le circostanze negative e tutti gli ostacoli in occasioni per progredire nell’amore».
Un amore che si traduce nel servizio agli altri: poco prima, infatti, Gesù aveva lavato i piedi ai discepoli. Un amore che sa abbassarsi, che rifiuta ogni forma di violenza, rispetta la libertà, promuove la dignità, respinge ogni discriminazione. Un amore disarmato, che si rivela più forte dell’odio. Questa è la regola dell’amore per quanti vogliono seguire Gesù: lasciarsi afferrare da Lui, amare con Lui, modellare le proprie azioni sulla sua infinita generosità.
Perché “comandare” l’amore? In realtà quello di Gesù è più di un comando: Gesù indica il destino di tutti. Siamo chiamati ad amare perché l’amore è il modo di essere di Dio. L’amore è il nostro DNA. «L’amore, in altre parole – diceva Papa Francesco ai ragazzi, durante l’anno della misericordia – è la carta d’identità del cristiano, è l’unico “documento” valido per essere riconosciuti discepoli di Gesù. L’unico documento valido. Se questo documento scade e non si rinnova continuamente, non siamo più testimoni del Maestro».
Siamo chiamati ad amare come Gesù ama. Come potremo amare come lui? Gesù lava i piedi ai discepoli, si rivolge a Giuda chiamandolo amico, prega per chi lo uccide, piange per l’amico sepolto da giorni, gioisce per il nardo profumato dell’amica, si china su chi soffre… Possiamo prendere in mano i Vangeli e ricomporre i momenti della vita del Signore per imparare come Gesù ha amato, e così cominciare ad amare. Gesù ci chiama ad essere discepoli che osano amare come lui.
Non esiste altra via che porti verso il comandamento nuovo, non esiste altra scuola dell’amore se non fare esperienza dell’amore di Gesù, lasciandosi prima di tutto amare da Lui. Lo specifico del cristiano non è amare, lo fanno molti, in molti modi. Bensì amare come Gesù. Amare con lo stile unico di Gesù. Il Signore ama per primo, ama in perdita, ama senza contare.
Siamo chiamati ad entrare in questa catena di amore, che comincia dal Padre, passa attraverso il Figlio e lo Spirito e avvolge tutti noi: Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore (Gv 15,9).
Un piccolo testo di spiritualità, oggi non più tanto di moda, l’Imitazione di Cristo scrive in proposito: «Il nobile amore di Gesù ci spinge a operare cose grandi e ci incita a desiderare cose sempre più perfette. L’amore vuole stare in alto e non essere trattenuto da nessuna bassezza. L’amore vuole essere libero e disgiunto da ogni affetto mondano… l’amore infatti è nato da Dio, e non può riposare se non in Dio al di là di tutte le cose create. Colui che ama vola, corre e gioisce, è libero, e non è trattenuto da nulla. Dona tutto per tutti e ha tutto in ogni cosa, poiché trova riposo nel Solo grande che è sopra tutte le cose, dal quale scaturisce e proviene ogni bene».
In San Giovanni Paolo II vediamo la realizzazione di queste parole, la realizzazione di questo amore, che si abbeverava alla fonte dell’amore di Gesù. Papa Wojtyła ci ha richiamati sovente alla misura alta, a prendere il largo: duc in altum, invitava nella lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, al termine del grande Giubileo del 2000. Anche oggi ci invita a fidarci della parola di Gesù, a prendere il largo e gettare le reti, per diventare uomini e donne di Pace.
Essere pellegrini e annunciatori di Pace oggi significa amare come Gesù ci ha amati, fino alla fine, significa essere missionari, come Paolo e Barnaba nella prima lettura dagli Atti degli Apostoli, significa uno stile di vita semplice, umile, mite.
Vivere come pellegrini e annunciatori di Pace è vivere come il Figlio dato per noi: lo stesso amore totale, che non fa preferenza di persone, che, anzi, preferisce i più poveri tra i poveri; quell’amore che giorno per giorno diventa parola di fiducia, gesto di misericordia, atteggiamento di attenzione e di gratuità, impegno di condivisione dell’inquietudine e della ricerca di senso e di libertà di tanti fratelli di oggi; quell’amore che apre l’accesso alla vita definitiva oltre la morte.
Siamo chiamati ad avere un surplus di amore. La carità è “un fuoco” che infiamma le persone diceva spesso san Vincenzo de’ Paoli. Siamo chiamati a “osare l’amore”, a non desiderare cioè niente di meno per la vita che un amore forte e bello, capace di rendere l’esistenza intera una gioiosa realizzazione del dono di noi stessi a Dio e ai fratelli, ad imitazione di Colui che mediante l’amore ha vinto per sempre l’odio e la morte (cfr Ap 5,13).
Il brano dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato nella seconda lettura termina con l’affermazione: Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (21,5). La risurrezione di Gesù è l’inizio di tutta una serie di “cose nuove”, a cui prendiamo parte anche noi.
Il compimento delle cose è il momento della suprema e definitiva gioia della città santa, la Chiesa, la Gerusalemme nuova. Per questo momento ultimo ed eterno essa è stata creata e voluta dal cuore di Dio; in essa l’amore sarà portato a perfezione, alla sua pienezza.
Tutte le lacrime versate lungo la sua storia, tutte le lacrime degli uomini, causate dal male, dalla colpa e dalla cattiveria, spariranno, perché Dio stesso, asciugherà il pianto, essendo egli stesso la piena gioia di ogni uomo. Questa meravigliosa pagina dell’Apocalisse ci dice che nel pensiero di Dio l’uomo è destinato a questo gaudio pieno e senza tramonto: Ecco, io faccio nuove tutte le cose.
La nostra vita, dopo la Morte e Resurrezione del Signore, non può più essere come prima, ma deve lasciarsi sconvolgere per avviarsi verso i tempi nuovi del Regno di Dio in terra. «Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo» scriveva in una delle sue ardenti lettere Santa Caterina da Siena. Da questo tempo pasquale che stiamo vivendo deve cambiare il nostro quotidiano. Il Risorto ci rende accessibile l’amore vero. E questo deve cambiare il nostro sguardo su tutto. Ci apre alla speranza. Una speranza solidale che si adopera per costruire, senza arrendersi, pace e giustizia, amore e misericordia su questa terra.
Siamo invitati a non perdere mai la luce della speranza nel Cristo Risorto, che è capace di trasformare la realtà e rendere nuove tutte le cose; e a vivere in città, nei quartieri, nelle comunità, nelle famiglie, in modo semplice e concreto l’amore di Dio: Come io ho amato voi, così amatevi gli uni gli altri.

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