Padre Maurizio Patriciello si racconta in attesa del Riconoscimento 2016

Racconterà la Terra dei Fuochi e come custodire il creato

di Grazia Pia Attolini

Uomo di chiesa, di fede e di speranza, padre Maurizio Patriciello è stato chiamato ad assolvere a un dovere, quello della sensibilizzazione e della battaglia per la rinascita della terra inquinata e avvelenata dai rifiuti industriali interrati in modo scandaloso e criminale nella cosiddetta Terra dei Fuochi.
Parroco nel quartiere Parco Verde di Caviano, don Maurizio sarà insignito delRiconoscimento Giovanni Paolo II a Bisceglie il prossimo maggio (quidettagli), nell’anno in cui il tema del premio è “la difesa della natura e del patrimonio culturale: quale ricchezza è per l’umanità?”.

Padre Maurizio si racconta nell’attesa di incontrare i giovani studenti e dare la sua testimonianza nella serata della premiazione presso la Concattedrale di Bisceglie insieme a Gigi D’Alessio, il Cardinale Paul Joseph Jean Poupard, don Giuseppe Costa,Beatrice Fazi e Gabriele Cirilli,Fabio Salvatore, Loredana Errore,Fabio Marchese Ragona, Luca De Ceglia, Max Laudadio.

Ha conosciuto Giovanni Paolo II?
«Ho avuto l’occasione di baciargli la mano quando ero seminarista: ricordo che stava ancora bene in salute e donò a me e agli altri seminaristi la coroncina del rosario. È stato il Papa della mia vocazione e colui che ha accompagnato gli anni del Seminario e anche quelli successivi. É il mio Papa e ha inciso profondamente nel mio cammino di fede».
Qual è la traccia che le ha lasciato?
«Siamo stati tutti testimoni oculari di un grande Papa, anzi di un grande Santo. Il suo coraggio è la più grande eredità: non dimentichiamo che ha portato alla caduta del muro di Berlino, solo per citare una delle opere coraggiose del magistero di Papa Wojtyla».

E di coraggio Lei ne ha da vendere. Come spiegherebbe ai piccoli studenti e ai giovanissimi che parteciperanno al concorso legato al Riconoscimento cosa è la Terra dei Fuochi?
«Semplicemente dicendo: siamo dei grandi stupidi! Non abbiamo ancora compreso che abbiamo bisogno della terra per vivere, dell’aria per respirare, dell’acqua per bere e che rovinando la natura roviniamo noi stessi. D’altronde anche l’Enciclica del Papa “Laudato si” va in questo senso: a me sembra che più che dell’ambiente, parli dell’uomo. La causa di tale atteggiamento è da ricercare nella smania terribile di possedere, in quella bramosia dell’uomo di avere sempre di più. Spiegherei ai ragazzi che chi ha avvelenato la terra lo ha fatto solamente per motivi economici: per avere soldi, sempre più soldi. Ecco che subentra il malaffare, quella maledizione che in Campania si chiama Camorra, in Puglia Sacra Corona Unita, in Calabria ‘Ndrangheta, in Sicilia mafia. Quella stessa maledizione che nel mese di luglio ha bruciato la Cleprin, una azienda di persone che non hanno voluto sottostare alle intimidazioni dei camorristi e hanno detto no al racket, pagandola però a caro prezzo: adesso 33 famiglie stanno in mezzo alla strada grazie a questi parassiti autentici che però nulla avrebbero fatto (ora come in altre occasioni) senza l’appoggio dell’industria disonesta e criminale e anche senza la politica che con il suo non fare e non dire si è resa complice. Ai ragazzi e ai bambini che partecipano al concorso quindi dico: se noi ammazziamo il creato, il creato ammazza noi e chi dopo di noi verrà. Non bisogna infatti dimenticare che noi ci stiamo comportando come se non vi fosse più un domani. Un esempio? Peschiamo i pesci e allo stesso tempo avveleniamo le acque. Noi siamo una generazione, non l’ultima, per cui abbiamo l’obbligo di lasciare a chi verrà dopo di noi i mari, i laghi, i fiumi, l’aria e la terra nel migliore dei modi».

Come e quando è nata la sua missione nella Terra dei Fuochi?
«Sono entrato in seminario a 30 anni dopo un’esperienza da caporeparto di ospedale. Ho studiato 5 anni di medicina, poi in seminario ho dovuto studiare teologia. Non sapevo nulla di immondizia, rifiuti, flussi industriali e altro, fino a quando la vita in questa terra è diventata impossibile: i fumi ci intossicano dalla mattina alla sera, ci svegliano la notte… Denunciavo questa situazione tramite i giornali, in particolare su “Avvenire” ponendo all’attenzione dei lettori questa problematica, però non facendomene carico in prima persona. La mia missione è incominciata invece qualche tempo dopo. Il Signore mi ha chiamato nella notte del giugno del 2012: erano le 3 del mattino tutti i cittadini si sono svegliati a causa di un fetore che impregnava ogni angolo della città, dalle case alle strade. Mi sono ritrovato solo in camera da letto con una rabbia immensa, ho guardato la croce e ho detto al Signore: “Cosa mi stai chiedendo?” e ho capito che non era una chiamata in contrasto con il mio sacerdozio. Insomma, faccio questo per rispondere alla mia chiamata di prete: un prete non può non vedere e non affrontare le problematiche delle sue anime».

In che cosa consiste la sua azione in prima linea?
«L’ultimo messaggio arrivatomi è di una donna con una figlia malata di leucemia alla quale avevano dato la speranza che potesse guarire, ma le aspettative sono state deluse e mi ha scritto: “La Madonna mi ha tradito”. Io cerco di stare accanto a queste persone, anche attraverso i nuovi mezzi di comunicazione (ho unapagina Facebook dove mi arrivano sempre tanti messaggi), poi ci sono la parrocchia, i convegni, gli articoli per giornali e riviste, i libri, la lettura del Vangelo nei luoghi simbolo della Terra dei Fuochi, le raccolte firme, il dialogo con le istituzioni. Cerco di essere il più vicino possibile alla comunità e di far giungere il messaggio dello stato in cui viviamo nel mondo intero, con la speranza che chi di dovere possa intervenire».

Qualcuno l’ha etichettato come un sacerdote ambientalista. Si rivede in questa definizione?
«Non sono un prete ambientalista, né un prete anticamorra: sono un prete. Punto. Un prete che cerca di rispondere alle esigenze della sua comunità. Se un prete che vive nella Terra dei Fuochi, dove alla gente viene rubata anche l’aria e la gente muore in tenera età per cancro, non vede questo scempio, allora vuol dire che non sta facendo il prete. L’ultimo funerale che ho celebrato era di un giovane strappato alla vita per questa maledetta aria che respiriamo: in chiesa c’erano circa 500 altri ragazzi come lui che indossavano una maglietta con la scritta “Francesco ti amiamo”. Quei ragazzini mi guardavano con lo sguardo impaurito e pensavo: se taceremo noi, urleranno le pietre e anche la storia ci condannerà. Come è possibile, mi chiedo, celebrare il funerale di Francesco di 16 anni o di Antonio di 10 e poi di una mamma di 27 e un’altra di 30? Stando così le cose, come non fare tutto quello che è nelle nostre possibilità?»

Tra le vostre azioni, c’è il dialogo con le istituzioni. Quali sono le risposte che ricevete?
«Le risposte sono lente e parziali. Qualche volta diventano anche estenuanti. Tra le vittorie c’è senza dubbio la recente legge sugli eco-reati: fino a poco tempo fa la polizia che trovava una autobotte che scaricava veleni in un campo di grano, al massimo poteva fare una contravvenzione. Ora è un reato penale. Siamo poi riusciti a portare all’attenzione del mondo intero il problema che fino a qualche tempo fa era considerato solo locale. Adesso finalmente si parla di bonifiche. A tal proposito, quando nel 2014 sono stato ricevuto da Napolitano, il presidente mi disse: “Lei non ha paura che quando si terranno le bonifiche la Camorra si intrufolerà? E io risposi: “Il presidente è lei! Io sono solo un prete”. Ecco, lo Stato davvero non è capace di gestire una situazione così complessa. Intanto presso la mia parrocchia sono giunti più di 4 ministri e adesso attendiamo la visita di Sergio Mattarella».

 

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