Intrevista / Riconoscimento al Cardinale Zenon Grocholewski

In attesa del 16 maggio racconta il suo rapporto di amicizia con Wojtyla: “Grande la sua eredità nella preghiera e centralità dell’essere”

di Grazia Pia Attolini

Nel parterre dei premiati 2015 del Riconoscimento Giovanni Paolo II città di Bisceglie, c’è anche Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, Gran Cancelliere della Pontificia Università Gregoriana.
In attesa di ricevere il premio nella splendida cornice della Concattedrale di Bisceglie il prossimo 15 maggio, il Cardinale si racconta: dall’amicizia con Wojtyla ai suoi insegnamenti, dagli aneddoti presso la Curia, fino all’eredità lasciata alle giovani generazioni. Ecco come ha risposto alle nostre domande.

Come ha accolto la notizia del Riconoscimento?
«Giovanni Paolo II ha dato un’impronta profonda a tutto il mio apostolato e alla mia vita. Pertanto ogni riconoscimento sotto il suo nome è per me motivo di grande soddisfazione».

Ci racconti del suo rapporto con Wojtyla…

«In Polonia conoscevo alcuni suoi scritti, ma ho potuto vederlo solo da lontano. Al tempo in cui frequentavo il seminario di Poznań (mia città d’origine) noi studenti di teologia leggevamo con grande interesse soprattutto il suo libro molto interessante e innovativo, “Amore e responsabilità”. Ho poi incontrato personalmente Karol Wojtyła a Roma nel 1966 quando lui, come Arcivescovo di Cracovia, durante i suoi frequenti viaggi a Roma, risiedeva sempre nel Collegio Polacco, che in quel tempo era anche la mia dimora. Qui è nata la nostra amicizia. Egli partecipava alle nostre feste (compleanni, onomastici, dottorati all’università, ecc.), si interessava dei nostri studi, si confrontava con noi studenti di diverse discipline ecclesiastiche delle Università Romane. Niente di strano, quindi, che, quando l’Arcivescovo Wojtyła è stato creato Cardinale nel 1997, noi del Collegio Polacco abbiamo preso parte all’evento con grande entusiasmo e gioia. Nell’atteggiamento del Cardinale, comunque, non è cambiato nulla: egli si è sempre comportato con disinvoltura e mostrando interesse per tutti noi. Considerando la sua sentita partecipazione alla nostra vita, in una occasione particolare lo abbiamo addirittura nominato membro onorario della nostra comunità, e il Cardinale in tale veste adempiva sempre i suoi doveri, ad es. di festeggiare con noi il suo onomastico o compleanno».

Cosa Le ha insegnato e porta tutt’ora con sé di lui?

«Ho collaborato con il San Giovanni Paolo II per tutto il suo Pontificato. Anzi, ho cominciato a lavorare nella Curia Romana, presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, ben sei anni prima della sua elezione. Quando egli è diventato Papa mi sono sentito in primo momento un po’ preoccupato. Pensavo che lui, non avendo mai lavorato nella Curia Romana, che è un grande organismo con tante persone esperte di diversi paesi del mondo, si sarebbe sentito un po’ soffocato. Però, dopo soli due giorni era già chiaro per me che egli si sentiva a casa, spontaneo e naturale come sempre: ha cominciato a invitare le persone a cena e a pranzo, per conoscere da questi contatti diretti diversi problemi della Chiesa a livello mondiale. Ero impressionato del fatto che, circa un mese dopo la sua elezione ha voluto che il suo segretario personale (attuale Cardinale Dziwisz, arcivescovo di Cracovia ) invitasse i suoi amici per celebrare il suo onomastico. Così, abbiamo festeggiato questa circostanza, insieme con il Papa, conversando, scherzando, cantando. Poi il primo Natale, cioè del 1978, ha invitato alcuni di noi Polacchi a cena per cantare i nostri canti natalizi, ai quali la gente in Polonia è molto attaccata. Penso che mai prima nel Palazzo Apostolico avessero luogo eventi del genere.
Ciò che mi ha colpito molto è stata la sua serietà nel lavorare. Io sono canonista e, in quel tempo, per quasi 20 anni si è lavorato per preparare il nuovo Codice di Diritto Canonico. Sono stati coinvolti i più grandi esperti in materia, le Conferenze Episcopali di tutto il mondo, le Università, anche specialisti in altre materie. Una volta pronto il testo, tutti pensavano che, essendo filosofo e non canonista, il Santo Padre si sarebbe attenuto alla sola firma del codice, fidandosi del lavoro degli esperti. E invece le cose non andarono proprio così. Io e altri sei canonisti di diverse nazioni siamo stati invitati a pranzo dal Santo Padre. Allora egli ci ha detto che già due volte aveva letto il testo del progetto presentatogli, ma dovendolo firmare, voleva ancora prima studiarlo più profondamente con il nostro aiuto. Tutti siamo rimasti davvero stupiti. Così abbiamo avuto poi con il Santo Padre 14 riunioni di 3-4 ore ciascuna, non contando che anche fra noi abbiamo dovuto incontrarci alcune decine di volte per discutere diverse questioni. A noi sembrava quasi incredibile che il Santo Padre volesse dedicare tanto tempo a studiare il Codice prima di firmarlo e che chiedesse il nostro aiuto. Io sono stato ordinato vescovo da San Giovanni Paolo II circa due settimane prima della firma di questo Codice e, come canonista, sono fiero di aver potuto assistere a questo evento. La relativa foto mi è particolarmente cara e la espongo dappertutto».

“Venuto da lontano”, è il Papa che ha significato molto per l’intera umanità traghettandola nel nuovo millennio. Da polacco quale Lei è, cosa ha significato (da un punto di vista sociale e culturale, non solo religioso) Papa Giovanni Paolo II per la Polonia?
«Da un punto di vista sociale e politico, San Giovanni Paolo II ha contribuito in modo essenziale a cambiare il sistema comunista in maniera pacifica. Per la prima volta nella storia, grazie al Suo contributo, gli operai hanno lottato per i propri diritti pacificamente, senza falce e martelli, senza bestemmie, ma con Madonna di Częstochowa sul petto e ricevendo i sacramenti. Questa certamente è una grande novità nella storia della lotta operaia.
Quando il Santo Padre si è recato per la prima volta in Polonia nel 1979, c’era ancora il regima comunista. Nei suoi discorsi ha affrontato con coraggio e decisione i problemi del proprio paese di origine, affermando praticamente tutto il contrario di quanto insegnava, in modo ingannevole, il Comunismo: ad es. nelle scuole si insegnava che la religione è una alienazione, che abbassa la persona umana, San Giovanni Paolo II, invece, nella piazza della Vittoria di Varsavia ha gridato che non si può capire l’uomo senza Cristo, che proprio Cristo è la chiave per comprendere e valorizzare la persona umana; nelle scuole insegnavano la storia tutta falsificata, cercando di eliminare il ruolo della Chiesa e lui, invece, nella storica Gniezno (prima sede metropolitana in Polonia), in nome della verità, ha evidenziato a gran voce che non si può capire la storia della nostra nazione senza la Chiesa. In tal modo ha risvegliato le coscienze, ha alimentato il pensiero e da questo è sorta poi la “Solidarność”.
Giovanni Paolo II non solo ha avuto un importante ruolo sociale per la Polonia, ma anche culturale. Gli intellettuali di buona volontà si accorgevano della grandezza di Wojtyla e della profondità dei suoi scritti, ma il popolo veniva ingannato, manovrato: nelle scuole si parlava della Chiesa come arretrata, qualcosa per ignoranti, gli studi ecclesiastici venivano sminuiti… Giovanni Paolo II ebbe il merito, semplicemente con il suo insegnamento pontificio e con il suo atteggiamento, di arrivare a tutti, anche alla gente meno colta, e di aprire i loro occhi, di cambiare le loro idee, e di far amare la Chiesa ancora di più.

Quale è l’eredità più grande che ha lasciato soprattutto ai giovani?
«Due in particolare, a mio avviso: l’importanza dell’essere e della preghiera.
Ha cercato di convincere i giovani che il valore della persona non dipende da quello che si ha e neppure da quello che si sa, ma principalmente dal proprio essere, ossia da chi si è. Ha parlato quindi “della priorità dell’etica sulla tecnica, del primato della persona sulle cose, della superiorità dello spirito sulla materia”. Anche nel campo dell’educazione ha sostenuto la tesi che non basta trasmettere scienza e capacità, ma bisogna formare la nuova generazione in modo che voglia e sappia usare le conoscenze e le capacità acquisite per costruire il bene e non fare il male. Di conseguenza ha parlato tanto sulla formazione all’amore, come la più grande forza del vero progresso.
Quanto alla preghiera, anche questo in rapporto ai giovani è un tema di grande importanza vitale. Oggi i giovani non hanno tempo di pregare, ma San Giovanni Paolo II non solo ha parlato della necessità della preghiera per una vita autenticamente cristiana, ma ha dato anche un affascinante esempio della preghiera, del continuo contatto con Dio. Eletto papa, ha fatto il suo primo pellegrinaggio al santuario mariano della Mentorella (nei Monti Prenestini nel Lazio) e lì, spontaneamente, ha spiegato ai presenti che ha scelto proprio quel luogo perché quel santuario lo ha aiutato a pregare. E in questa circostanza ha detto una frase di estrema importanza: “Il primo compito del Papa è pregare, l’efficacia del suo apostolato dipende principalmente dalla preghiera”. Quindi, il primo compito non è insegnare, viaggiare, ecc., ma pregare. Infatti Gesù ha detto ai suoi discepoli: “Senza di me non potete far nulla”. Ho avuto l’opportunità di concelebrare delle Sante Messe con lui e ho toccato con mano come egli ha vissuto la presenza di Dio nell’Eucaristia. In questo è per tutti noi un grande esempio».

Il Riconoscimento della città di Bisceglie è abbinato a un concorso studentesco che ha come tema per l’edizione 2015 “accogliere per accogliersi”. A fronte della Sua esperienza di Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, di cosa hanno necessità i giovani d’oggi, sempre più imbrigliati tra le trame dei network e delle sterili chat del computer, per accogliersi?
«Oggi i giovani molto spesso sono relativamente solitari. Trascorrono troppo tempo in un mondo virtuale: computer, televisione, ecc. Prima, quando non c’erano questi mezzi tecnici, essi si incontravano, creavano contatti di amicizia vera, ciò che è necessario per condurre una vita veramente umana. Anche su questo Giovanni Paolo II ha dato dei punti di riferimenti importanti: lui ha perseguito sempre con il suo esempio la via del contatto personale (si pensi anche alle cene e agli incontri a cui mi riferivo in apertura). Accogliere gli altri vuol dire vedere in essi fratelli, amici, percepire i loro problemi, sentire il bisogno di stare con loro, cercare quindi di venire incontro ai loro bisogni in uno spirito di solidarietà e di un autentico amore cristiano.
Al riguardo, vorrei aggiungere una osservazione concernente le scuole cattoliche delle quali si occupa la Congregazione, attualmente da me presieduta (fino all’8 giugno, quando andrò in pensione). In alcune parti del mondo la maggioranza di allievi in esse non è cattolica e chi, pur non condividendo la nostra fede, decide di iscriversi, o iscrivere i propri figli, presso i nostri istituti, generalmente motiva la scelta o con il fatto che la scuola cattolica è migliore oppure (è questa la risposta che più mi colpisce) perché la scuola cattolica, oltre a trasmettere sapere e capacità, forma tutta la persona. Nel mio ufficio spesso ho sentito da non cattolici: “nelle vostre istituzioni ci sentiamo stimati, ci sentiamo come in una famiglia, in esse si trasmettono i valori”. Ciò mi faceva grande piacere. Infatti, l’accoglienza passa attraverso l’accettazione dell’altro e conduce ad arricchirlo umanamente e spiritualmente».

Grazia Pia Attolini

Condividi su:
Close
Aiuta il sito a crescere!
Clicca 'mi piace' su facebook.

Facebook